Il robot selvaggio

29 Novembre 202482/10010 min
Uscita
2024
Regista
Chris Sanders
Paese
USA
Durata
102'
Voto complessivo
I nostri voti
Regia
Sceneggiatura
Fotografia
Effetti speciali
Colonna sonora
Semantica
In breve
Se pensate che Wall-E sia stato aggiornato ed adattato, ricredetevi. Il robot selvaggio tratta temi tutti umani, restituendo un lungometraggio d'animazione trasversale, perchè sia apprezzabile da chiunque nella fascia di età 3-99, come un gioco di società natalizio.

È successo di nuovo: la Dreamworks si è fidata del visionario Chris Sanders, ha concesso l’adattamento cinematografico del romanzo illustrato di Peter Brown e quindi la produzione di un lungometraggio d’animazione che esce dai canoni del classico story telling quanto basta per rendere il prodotto originale ma al contempo familiare e godibile per la maggior parte del pubblico in sala.

In tutta onestà, dopo aver intercettato il trailer qualche mese fa, non conoscendo il romanzo per ragazzi/e da cui è tratta la storia, avevo pronosticato due ingredienti fondamentali: la presenza di una famiglia non convenzionale, tema caro a Sanders (vedi Lilo & Stitch), e la reinterpretazione di un Wall-E contemporaneo, aggiornato alla versione 2.0 sulla base dei progressi a cui le IA ci stanno abituando negli ultimi anni. Voglio essere onesto: il primo pronostico è stato confermato, il secondo alla fine non molto, e forse era quello che sulla schedina pesava maggiormente.

Le avventure raccontate sono quelle dell’unità robotica ROZZUM 7134, costruita per servire gli umani e finita su un’isola selvaggia e disabitata insieme ad altre centinaia di unità omologhe dopo il naufragio di una nave container che le stava trasportando. Attivato casualmente da alcune lontre (selvagge), il robot inizia ad esplorare l’isola in cerca di un proprietario che le affidi dei compiti da svolgere. Del resto, è ciò per cui è stato programmato. Dotato di una IA futuristica ed aggiungerei futuribile, dimostra subito spiccate capacità adattive e di problem-solving, nonostante l’ambiente che lo circonda sia tutt’altro che accogliente perché appunto selvaggio e guidato da istinti naturali. Non trovando alcun essere in grado di comunicare con linguaggio umano, qua avviene la prima magia narrativa: la macchina si ferma ad ascoltare e registrare i linguaggi animali che la circondano per adattarsi ed imparare a comunicare. Senza ombra di dubbio la più plausibile e razionale giustificazione all’esistenza di animali parlanti su una pellicola d’animazione, almeno che io ricordi. In una natura violenta e selvaggia, una serie di sfortunati eventi obbligheranno Roz (sintesi di ROZZUM 7134) ad un compito tutt’altro che semplice rispetto agli standard per cui è programmata: accudire e proteggere una neonata oca, ribattezzata Beccolustro, anche grazie all’aiuto della volpe Fink, tanto furba quanto bisognosa d’affetto.

È intuibile per quale motivo il mio secondo pronostico fosse sbagliato: ci sono evidenti accenni allo sviluppo tecnologico futuro e all’annosa questione climatica ed ambientale (come la scena della mastodontica serra dove gli umani vivono e coltivano ricreando climi più favorevoli alla vita), ma semplicemente il film non parla di questo. Piuttosto racconta in prima battuta dell’esperienza genitoriale in sé, che travalica ogni forma di programmazione possibile, sconfinando inevitabilmente nell’improvvisazione, nell’intuito e nell’empatia. In altre parole: si può essere pronti, ma non preparati. Questa intuizione si estende per osmosi anche a tutti gli ostacoli maggiori che la vita presenta, e Beccolustro ne sa qualcosa; la chiave di lettura dell’intera pellicola è infatti desumibile dall’ esclamazione “a volte, per sopravvivere dobbiamo diventare più di quello per cui siamo programmati”, ed è anche il motivo per il quale ogni personaggio che abbia un ruolo degno di nota dirazzerà.

L’altro perno narrativo è l’importanza dell’ambiente come elemento ulteriore di coesione e crescita allo stesso tempo personale e collettiva: avverrà all’interno della comunità di animali selvaggi, che si dimostrerà versatile e tutt’altro che refrattaria al cambiamento. Evidenzio a tal proposito l’unica nota dolente dell’intera pellicola: lo strumento principe affinché tutto questo avvenga è identificato nella gentilezza (parola di Fink). Ora, lungi da me sentenziare sui valori pedagogici maggiormente efficaci e formativi che la storia del cinema d’animazione ha individuato, soprattutto quando la pellicola è rivolta ai più giovani, però penso si potesse fare di meglio. Un orso che diventa gentile, seppur in un cartone animato, fa comunque storcere il naso, a maggior ragione se fino a poco prima la storia non si è risparmiata di raccontare in forma edulcorata la brutalità della natura*.

Sul finale, con le ruote già posate sulla pista d’atterraggio, Sanders spegne i motori e lascia lavorare un po’ l’inerzia, senza necessariamente rovinare l’esperienza. È la conclusione che ti aspetti, dopo un volo molto piacevole e senza turbolenze; ti scappa l’applauso perché ti sei divertito (e perché sei italiano). Il plauso all’atterraggio, la standing ovation per la fotografia e l’animazione. Se Disney-Pixar ci ha abituato a figure poligonali impeccabili ed estremamente dettagliate, ma visibilmente digitali ed informatiche, il robot selvaggio maschera l’animazione in CGI con un coloring paragonabile a tavole acquerellate che appiattiscono i poligoni e vivacizzano l’esperienza visiva, restituendole inaspettata profondità e giocando magistralmente con luci ed ombre (la scena del salvataggio delle lontre in mare durante una notte di tormenta con i fari di Roz che si accendono d’improvviso è una valida definizione di arte animata). La bellezza visiva della pellicola basta ad annoverarlo senza troppe remore fra i titoli d’animazione godibili a prescindere dall’età anagrafica dello spettatore, in pieno stile Sanders.

*Non voglio qui gettare le basi per la struttura di un trattato filosofico sulla morale naturale. Spero solo che il lettore dia per scontati i seguenti assunti (il lettore perché immagino sia solo uno): gli orsi non sono cattivi o gentili, la natura non è maligna o benevola, sono gli uomini che strutturano l’analisi del mondo che li circonda attraverso la lente dell’etica, e l’etica stessa è solo uno dei caratteri evolutivi dell’animale uomo, al pari degli artigli, delle piume, dei colli lunghi e del pollice opponibile (anche nei panda, accettatelo).

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Wes Cracker

Wes Cracker

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