La chimera

6 Gennaio 202574/1004 min
Uscita
2023
Regista
Alice Rohrwacher
Paese
ITA
Durata
131'
Voto complessivo
I nostri voti
Regia
Recitazione
Sceneggiatura
Fotografia
Colonna sonora
Semantica
In breve
Siete rabdomanti (come il protagonista) alla ricerca di un lungometraggio poetico e tecnicamente raffinato? La frase precedente non ha nessun senso ma ormai avete comprato un maglione XXL da radical chic e quindi dovete adeguare i vostri gusti cinematografici? Avete trovato la vostra chimera! Tornando seri, è grazie a opere come questa che ancora si riesce a capire quale sia la forza di un film.

Ambientato all’apogeo del debito pubblico nostrano (in altri termini, gli anni Ottanta) in un luogo imprecisato dell’Etruria, l’ultimo film di Alice Rohrwacher è un’originale e raffinata allegoria della chimera, dell’illusione, dell’obiettivo utopico che ciascun uomo brama.

Al centro dell’allegoria vi è Arthur, archeo-tombarolo britannico appena uscito di galera e con un dono unico: percepire i vuoti, le cavità e gli antri che ospitano le tombe etrusche e i relativi tesori attraverso la nobile arte della rabdomanzia.

In pratica, potrebbe essere il prototipo del sindaco di Roma.

Il suo superpotere, neanche a dirlo, fa gola ai delinquentelli e al principale trafficante di tesori di zona, Spartaco, il “signorotto” locale della mafia etrusca. Ma la vera chimera di Arthur, lo si scopre presto, non è trafugare tombe per vivere una vita da nababbo, né diventare il protagonista di un videogioco.

C’è chi fuma, chi beve, chi scommette, persino chi apre un blog di cinema, chi siamo noi per giudicare i vizi degli altri.

Torna in pista per colmare il vuoto lasciato dalla fidanzata Beniamina e dal periodo passato in carcere dopo un colpo finito male. La sua caccia al tesoro è, dunque, una sorta di vizio, di distrazione con cui cercare di alleviare il senso di smarrimento.

Questo è il film…vuoto per pieno.

L’opera, a giudizio di chi vi scrive, è una chicca. La cosa che più ho apprezzato è il tocco quasi fatato della sua fotografia, che riesce a donare alla sceneggiatura, di per sé molto semplice, un’atmosfera quasi mistica, che sa mescolare un po’ di Boccaccio, un po’ di miti e un po’ di triste cronaca di provincia italiana abbandonata al suo destino. Ogni discesa in una tomba scoperta è una discesa negli inferi, ogni colpo l’ennesimo tranello che viene teso al povero Arthur, che sembra un Pinocchio moderno.

Tra le pieghe del racconto si riesce anche a intravedere un filo di denuncia (sociale?) marcata dalla contrapposizione tra il sottosuolo florido di tesori ma abbandonato al suo destino e la gigantesca e minacciosa centrale elettrica sul mare presidiata come Fort Knox.

Questi elementi si comprendono già da una prima visione del film soprattutto perché, come detto, si tratta di una narrazione piuttosto semplice, ma anche di un cinema fatto di simbolismo e dettagli.

Tutto questo per dirvi che oggi vi è toccata la recensione di uno spettatore che li ha apprezzati, per cui maledite il nome di Welles se il film non vi piacerà. Tuttavia, vorrei che fosse chiaro: oggigiorno è più facile trovare una tomba etrusca intatta mentre andate a funghi che un film originale come questo. Stateci.

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Jingle Welles

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