Comandante (2023)

1 Luglio 202479/1007 min
Uscita
2023
Regista
Edoardo de Angelis
Paese
ITA
Durata
120'
Voto complessivo
I nostri voti
Regia
Recitazione
Sceneggiatura
Fotografia
Effetti speciali
Semantica
Colonna sonora
In breve
Il punto di partenza è una narrazione storica impeccabile sulla quale si costruisce un film difficilmente descrivibile se non attraverso la sensibilità del singolo spettatore. Il consiglio è di cimentarvi nella prova.

Parlare di questo film si è rivelato piuttosto difficile; certo, non quanto deve essere stato vivere la storia di uno dei membri dell’equipaggio del Cappellini, ma credo esistano pellicole più semplici da raccontare.

La trama di per sé è alquanto lineare: il comandante della Regia Marina Salvatore Todaro, reduce da un incidente in idrovolante che lo costringe al busto e a cure di morfina, nel 1940 si imbarca a bordo del nuovo sottomarino oceanico Cappellini insieme ad un manipolo di sottoposti, con il compito di raggiungere l’Atlantico attraverso il difficile stretto di Gibilterra per attuare una missione tutt’altro che chiara e specifica. In pieno oceano, durante la difficile traversata, il Cappellini viene attaccato dal Kabalo, mercantile belga, neutrale solo all’apparenza; l’equipaggio di Todaro risponde al fuoco e affonda la nave. Delle due scialuppe di superstiti belgi, la prima viene soccorsa da un diverso mercantile il giorno seguente, mentre la seconda, con a bordo lo stesso capitano del Kabalo ed il suo sottufficiale, viene salvata, per volere di Todaro, proprio dal Cappellini, che trasporterà i nemici in salvo nel porto neutrale di Santa Maria delle Azzorre.

Doverosa è la premessa: questa pagina non ha la pretesa, l’ambizione, gli strumenti, o la volontà di giudicare la storia, positivamente o meno (ammesso che si possa fare, del resto); l’accuratezza con cui De Angelis e Veronesi hanno condotto le evidenti ricerche storiche, rende più agevole allo spettatore concentrarsi sull’aspetto puramente cinematografico, ovvero concede di focalizzare il giudizio sulla lente espressiva con cui hanno scelto di raccontarci un aneddoto chiave della vita di una figura forse dimenticata della nostra storia più recente. 

Sul senso d’appartenenza. L’equipaggio è un caleidoscopio di subculture italiane; ognuna ha il proprio dialetto, le proprie usanze, le proprie abitudini, le proprie inclinazioni (non so fino a che punto definirei cliché il cuoco napoletano, del resto “la doverosa premessa” serviva proprio in casi analoghi), la conseguente ed inevitabilmente diversa visione del mondo. In questo senso il Cappellini è l’Italia, stretto e lungo (70 metri di lunghezza per 7 scarsi di larghezza), che a volte li unisce sollecitandoli alla fratellanza, a volte li costringe a condividere metaforici spazi angusti, innescando (in)evitabili scontri, ad esempio fra fanatismo religioso e disprezzo più assoluto della fede. Tutto questo torna prepotentemente evidente nei titoli di coda, ma non credo sia mio dovere aggiungere altro. Gli attori se la cavano discretamente, questo va scritto, anche se a volte si ha la sensazione che si rischi di inciampare in una versione caricaturale dei personaggi stessi, mentre si scambiano battute nella pancia del Cappellini.

Sul comandante Salvatore Todaro. L’interpretazione di Favino non è da sottovalutare, sia chiaro. L’attore è da anni onnipresente e, nonostante la sovraesposizione, difficilmente delude lo spettatore. La figura di Todaro è un minotauro: metà umana, e più specificamente, tutta italiana, metà mitologica ed ancestrale. Ne esce fuori un ibrido: un valido condottiero fedele alla missione ed al mare, ma umano e caritatevole; un meditatore (si, Todaro a quanto pare praticava lo yoga), dotato del potere della premonizione, che, prima di partire, si fa predire a sua volta il futuro da un sarto chiaroveggente che pronuncia e trascrive i propri oracoli in greco antico. Non sto vaneggiando, lo garantisco, guardare per credere. 

Il resto del film è al buio, e non sto parlando per metafore. Il motivo è presto spiegato: la maggior parte delle scene è tendenzialmente cupa e scura, tanto da far pensare ad un improvviso sciopero del direttore della fotografia. Ed è un peccato, perché, da quello che si intravede, gli effetti speciali adottati tanto per le immagini di navigazione, quanto per le (poche) scene di battaglia, promettevano bene, senza risultare in apparenza come il solito lavoro posticcio low-budget a cui il cinema italiano troppe volte ci ha fatto assistere. Il consiglio del sottoscritto è di guardarlo con le luci del soggiorno spente, onde evitare di ritrovarsi a fissare per 120 minuti il riflesso della finestra sullo schermo della TV.

Il film è un lungometraggio di Schrödinger: la sua qualità sembra dipendere quasi esclusivamente dall’osservatore (molto più di tante altre pellicole unanimemente riconosciute valide o pessime). Finché non lo si vede, la pellicola è sia benfatta che scadente: è la visione dell’opera stessa a far collassare una delle due realtà sull’altra.

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Wes Cracker

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