- Uscita
- 2023
- Regista
- Luc Besson
- Paese
- USA
- Durata
- 113'
Voto complessivo
I nostri voti
In breve
Luc Besson non ha mezze misure: o fa film su antieroi forgiati da anni di crimine, violenza e abusi, o fa film su creature fantastiche.
Stavolta decide di superarsi facendo un crossover della sua carriera e ci presenta Doug, uomo disabile dalla gioventù per colpa di un padre e di un fratello violenti, che ama travestirsi da donna e cantare in un locale per drag queen ed è padrone di un branco di cani bastardi che eseguono furti di alto livello dietro suo comando. L’inclusivitometro Disney è andato fuori controllo per questo film.
Recitato da cani (ma non è un’offesa)
Il film è di fatto la storia di Doug – no, vi prego, “Dogman” con protagonista Doug(man) – raccontata dallo stesso alla psichiatra della polizia e spiattellataci a noi spettatori con un lungo flashback di due ore.
Ce ne sarebbe già abbastanza per una origin story sul signor Muntz di “Up” (l’esploratore con i cani parlanti), un B-movie anni ’90 con quadrupedi esilaranti o l’ennesima serie tv inutile del Marvel Universe.
Questo giro di parole inutili mi serve per dirvi che a me questo film è sembrato una mozzarella di marca confezionata. Di marca, sì, ma comunque non sa di un cazzo.
Besson è fenomenale nel rappresentare le piaghe del disagio umano e sa trasmettere empatia rispetto a personalità violente che sono espressione di un passato tormentato, su questo non ci piove ed emerge vividamente anche in “Dogman”. Lo si vede anche dalla fotografia, che riesce a mettere lo spettatore sempre nella prospettiva e nelle difficoltà fisiche di Doug, peraltro interpretato da un sorprendente Caleb Landry Jones, che sì un po’ fa il verso al Joker di Phoenix, ma finisce con il creare un personaggio istrionico e autentico.
Le solide virtù del cinema di Besson rendono certamente il film interessante, ma non ne spazzano via le criticità: cani che spicciano casa come il Max del Grinch, criminali che finiscono gabbati dalle mosse dei quadrupedi (ci manca solo la risata registrata di “Paperissima”), boss della mala improbabili e una pianificazione da parte del protagonista che a volte sollecita la più banale osservazione “se vabbè, ridicolo”.
A rimediare allo scollamento tra recitazione autoriale e sceneggiatura da gara di inseguimento di caciotte rotolanti vi è il rapporto sacro che da sempre lega l’uomo al divino negli USA: le pistolettate.