- Uscita
- 1996
- Regista
- Gregory Hoblit
- Paese
- USA
- Durata
- 129 min
Voto complessivo
I nostri voti
In breve
Per il ciclo “I bellissimi di Rete 4”, rispolvero questo classicone degli anni ’90 con Riccardone Marcia (in più) e Edward “antivirus” Norton in fase puberale (Golden globe vinto per questo film) incentrato sul sistema giudiziario più divertente del mondo: quello statunitense.
L’avviso ai naviganti è che ci troviamo di fronte a un film alla “Il caso Thomas Crawford”: caso giudiziario chiaro, avvocati fichi, belli e fotomodelli, polizia sempre un passo indietro e una giudice che cerca di poggiare la sua nerchia sul tavolo per ricordare a tutti, in primis a se stessa, che nonostante non facciano mai film sui giudici, tutto sommato è lei a presiedere il processo. Ma non è “Il caso Thomas Crawford”.
Il ‘precedente’ perfetto per un genere ormai consolidato
Volete un trailer? Abbiamo un principe del foro, indifferente a ogni scrupolo morale e che all’apparenza non difende criminali, difende solo criminali. Il caso però vuole che gli capiti tra le mani Bambi, pallido, timoroso, balbuziente e beccato con le scarpe completamente immerse nella merda di una scena del crimine. Per sua fortuna, prima di rivolgersi alla giuria esclamando “tu mi odi solo perché sono nero” (semicit.), incontra il nostro eroe, il quale accetta il caso “pro bono” (se sei un penalista di successo negli USA lavori gratis solo se tutti gli indizi sono a sfavore del tuo assistito, mica ti puoi sputtanare così).
Preso il tacchino di cui sopra, che ci facciamo? Lo farciamo nell’unico modo di concepire il diritto per gli statunitensi: citazioni di casi giurisprudenziali, istituti inventati, udienze show, flirt tra le parti, pubblica accusa che pare una S.p.a. e regole processuali salde come quelle create dai bambini che giocano al campetto, a mo’ de “Il caso Thomas Crawford”. Ma ve lo ripeto, non è “Il caso Thomas Crawford”, lì c’era lo schema imputato-pubblica accusa, qui è differente, su.
In definitiva, ne esce un film gradevole, ma che in generale non offre spunti che colpiscono l’apparato sensoriale umano, nel senso che, nonostante Chicago, non ha la verve di un thriller, non ha l’atmosfera del noir, non ha azione…Insomma è come se la Simone editrice avesse fatto un film per compendiare il codice di deontologia forense (che dopo aver visto ‘sto film credo che non esista negli USA) e il codice di procedura penale.
Ovviamente, fa eccezione l’ottima interpretazione del duo domanda-offerta, avvocato-assistito, che da sola vale la visione del film (fidatevi, non vi posso dire altro); questi due lavorano come la coppia Hopkins-Gosling ne “Il caso Thomas Crawford”, stanno sempre sul pezzo e tengono alta l’attenzione dello spettatore.
Però basta con questa comparazione: non è “Il caso Thomas Crawford”. E sapete perché? Perché cazzo, dopo averlo visto tutto commentando tra me e me che somigliava tanto all’altro, scopro che il regista è lo stesso! In sostanza, “Schegge di paura” è lo spermatozoo de “Il caso Thomas Crawford”.
Concludo con una personale valutazione sulle responsabilità evidenti di cui questo film si fa carico. La prima, meritevole, è quella di aver lanciato Edward Norton, onore e gloria a lui; la seconda, un po’ meno, è quella di aver contribuito, insieme a quel manipolo di pellicole dello stesso genere, a convincere molti adolescenti dall’altra parte dell’oceano a studiare giurisprudenza per scopare, per comprarsi le macchine belle e i vestiti firmati, per gridare “obiezione” a cazzo.
Ex facto oritur ius.